GLI ODRADEK

II.VII


Thelgo nuota leggera accanto alla sorella Syrizo, per prenderne il posto dopo l'ode al tramonto sullo scoglio di diamante e accoglierne il suggerimento per la propria storia. Il popolo delle acque in ascolto già freme di eccitazione e timore, in attesa di ascoltare gli affascinanti orrori di cui è narratrice la sirena dalla chioma corvina.

I lontani picchi innevati del Monte Thay, giganti vulcanici ormai spenti e dimora dei maghi rossi, sembrano osservare come re dormienti il tramonto appoggiato sopra il mare verde petrolio di Alamber. Una corrente calda e umida soffia sulla costa, agitando le vele delle imbarcazioni attraccate al porto di Thasselen. L'immersione del sole nelle acque si riflette sulla folla che anima il mercato ittico, in pennellate sangue e vino che gettano ombre inquietanti sui carri di pesce ancora guizzanti nell'ultimo rantolo soffocato di vita. Una delegazione di elfi oscuri contratta con i pescatori rashemi un carico di squali tigre per celebrare l'antica ricorrenza della cacciata dei mannari abissali, e il vociare degli uomini di mare offende i sensi delle creature guerriere, dalla pelle nera come l'antracite e la chioma albina, costrette a risalire dal loro regno del sottosuolo in quelle lande a loro ostili.
L'accordo sta per concludersi, in un misto di sollievo ed esasperazione per gli stranieri, a vantaggio degli abitanti del porto, ingannatori di professione, dalle bilance truccate e il sorriso seduttivo.
È un ticchettio, dapprima fastidioso, poi insistente, infine rabbioso, a interrompere il gioco della truffa e a distogliere l'attenzione degli elfi dall'abile parlantina del pescatore, mentre i suoi compagni posano sul carro carcasse marce sotto alcuni esemplari meno rovinati.
Sembra una specie di rocchetto a forma di stella rivestito di frammenti sfilacciati, vecchi, annodati, e in quel garbuglio un incastro di spilli e ingranaggi si agita nella corsa. Lo strano meccanismo rotolante è percorso da un elastico, inchiodato a un estremo, mentre all'altro è legato a una piccola leva di legno. Fra leva e rocchetto un pezzo di candela consunto la cui frizione irregolare ne regola velocità e direzione schizofrenica.
«Un odradek» sussurrano alcuni mercanti, spaventati e immobili, mentre gli elfi dalle vesti blu ed eleganti e la spada pronta osservano con confusione l'arrampicarsi di quell'oggetto sulle carni molli dei merluzzi, il suo guizzare tra i cumuli di alghe, fino a celarsi sotto un barile di alici sotto sale, e nell'aria ancora il ticchettio nervoso della levetta di larice.
A seguire il percorso contorto di quella visione si allunga un'ombra, scivola lenta come se fosse incollata alla roccia, costretta a procedere con riluttanza nel corridoio della folla. Il suo padrone è una figura minuta, ma longilinea, coperta da una cappa fuliggine, lo stocco affilato alla cintura e calzari arancio di pelle conciata. Lo spiritide avanza, puntando gli occhi infiammati di allegra pazzia sui volti fissi su di lui; dietro il fumo rosso che si leva dalla pipa impreziosita da barocche incisioni due sopracciglia finissime incorniciano un ovale color acquamarina, la bocca fine e marcata da una profonda cicatrice è piegata in un sorriso saccente, mentre dalle branchie sottili alla base del collo soffia il vapore inalato.
La creatura aspira un'altra boccata delle sue foglie di fiore rosso e un brivido drogato gli contrae i lineamenti anfibi, mentre l'odradek fuoriesce dal suo nascondiglio e gli si arrampica su una gamba per intrufolarsi nello zaino. La voce è un sussurro roco e acuto, un falsetto bastardo: «Abbiate rispetto per i nostri ospiti, come ne va concesso ai defunti.»
I pescatori, senza proferire verbo, quasi trattenendo il respiro, s'affrettano a liberare il carro del pesce avariato, per sostituirlo con bestie fresche di rete. Un elfo muove riluttante un passo verso l'apparizione, per articolare un ringraziamento, ma lo spiritide lo precede:
«Un occhio, mio signore. Cosa chiedete per cedermi il globo oculare destro?» e sguscia via, diretto alla locanda, senza attendere la risposta, già letta negativa nell'espressione di perplessità dell'interlocutore.
«Chi è quel disgraziato?» domanda il giovane guerriero oscuro, indispettito dalla mancanza di diplomazia nei confronti del suo nobile retaggio.
«Il ladro di carne» risponde un'anziana con un'infinità di lutti nello sguardo, mentre il mercato si spopola troppo in fretta per non destare sospetti «ha rinnegato ogni divinità per diventare annuncio di disgrazia. Serve i maghi rossi per inseguire un'ossessione.»
«Dove andate?» chiedono allarmati gli elfi ad alcuni uomini pronti a salpare sul loro peschereccio, ma il tentativo di decifrare il pericolo incombente si annulla nelle parole ammalianti della donna:
«Viveva benedetto da Selune, la dea della luce, in una casa di vetro azzurro e basalto, nella radura del sole, ai margini dei boschi lussureggianti di Yuir, pago delle delizie di una donna innamorata e del proprio mestiere di architetto del tempo, garanzia di agio e ricchezza.»
Tra i vicoli deserti della cittadina, un'eco ritmica accarezza le mura.
«A chi domanda la causa della sua condanna, racconta che fu la strega verde ad ammaliarlo, giunta alla sua officina per una clessidra d'ossidiana, ma non vi fu incantesimo, solo la brama maschile per una femmina sconosciuta, maligna indubbio, ma dal fascino ancestrale e senza oscure intenzioni in principio. Dopo una notte di amplessi fedifraghi seguì il pentimento e il traditore allontanò l'amante senza rispetto.»
Un rimbombo di ticchettii irregolari invade l'aria, il gracidare degli ingranaggi tra le ombre segna l'avvicinarsi di un incubo meccanico. Gli elfi estraggono le armi, ma smettere di ascoltare la vecchia non è possibile.
«La fattucchiera, offesa ma deliziata dalle possibilità di vendetta, si offrì a un signore delle pestilenze, nel cuore delle fosche paludi, in cambio della soddisfazione contro quel miserabile che aveva sperato rifiutarla. L'abominio si trasformò in uno splendido elementale dei boschi, e ne rapì la sposa, dopo averla sedotta. Il suo seme la infettò, condannandola a un'esistenza da non-morta e dopo un anno di ricerche l'orologiaio ritrovò la sua amata intenta a divorare la carcassa di un viandante, priva di coscienza, consumata da una fame assassina.»
Dalle ombre emergono gli odradek, come giganteschi granchi, lame brillanti incassate tra gli ingranaggi turbinano di malvagità propria, mentre le ruote scattano frenetiche in una danza violenta, senza logica, ma con una direzione precisa. Gli elfi oscuri.
«L'uomo tentò ogni sortilegio, ogni incantesimo o miracolo che i suoi possedimenti potevano comprare per restituirla al passato, ma i continui fallimenti lo segnarono nel profondo. Rinnegò ogni divinità e ripose la speranza nell'arte degli odradek, la creazione di orrori meccanici la cui anima è un intrico di ingranaggi, certo di riuscire, un giorno, a trovare i componenti necessari per ridare vita alla sua bella il cui corpo immondo è oggi custodito in una prigione di ghiaccio.»
Lo spiritide uscì dalla locanda, a passo lento. La strega verde lo accoglie con un ghigno, mentre riassume le proprie fascinose sembianze tra le carcasse martoriate dei guerrieri. I colossali meccanismi di morte oscillano inquieti vicino ai cadaveri.
«E per ottenerli costruisce golem assassini al soldo del migliore offerente.»
Il ladro di carne ignora l'ironia beffarda della sua antica amante ed estrae dal taschino un cucchiaio d'argento per conficcarlo nell'orbita oculare di un elfo caduto.
«Unisco l'utile al dilettevole.» Conclude, mentre il macabro trofeo scivola nel collo di una provetta.

[Grazie a Margherita]


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