LA GUARDIANA DEL LIMBO


II.III

La storia di Aglae fece dimenticare ai maestosi cetacei in ascolto il pericolo della baleniera. La sirena, gratificata da schiocchi, spruzzi e battiti di pinna provocati da migliaia di diverse creature, attese che la sorella bionda si avvicinasse per ricevere una frase attorno cui costruire un nuovo capitolo di quel Decamerone.

Una laguna immersa nella nebbia lattiginosa, graffiata dai rami secchi di alberi neri guarniti da arabeschi di ragnatele. L'uomo vagava in quel silenzio assoluto, denso, grigio come l'acqua in cui le sue ginocchia arrancavano senza produrre rumore. Era lì da sempre, per quanto custodisse ancora ricordi della sua vita passata. Ma non li sentiva più come propri, quell'ambiente senza tempo l'aveva rapito e reso schiavo di un'esistenza infinita, senza fatica, né scopo, scandita solo dalle sue urla ovattate nella noia pneumatica.
Si era risvegliato lì, senza vesti, galleggiando nel fango tiepido. Il recupero della coscienza era stato lento, dolce. La sensazione specchiata della cedevole lentezza di come ricordava scivolare via la vita dalle vene, nella vasca ricolma e annerita dal suo sangue.
Era consapevole di essere morto. O almeno, ciò gli suggerivano    nell'immediato i suoi preconcetti, ma la monotonia del nulla lo condusse ben presto ad abbandonare qualsiasi tentativo di definire quel luogo, per quanto si avvicinasse alla sua idea cristiana di limbo.
Trascorse ore, giorni, mesi, forse anni percorrendo quello stagno senza bordi né riferimenti, eppure limitato alla percezione dal muro di caligine. Una calma vischiosa gl'imbrigliava l'anima in una pace monotona, senza sapore, né ansie. E ciò lo rendeva infelice.
«Durante la vita le persone si incastrano.» una voce, un sussurro, di fronte a lui, nel vuoto. «Scelgono di essere deboli perché ammettere i propri limiti è rilassante e il mondo è pieno di risposte ai problemi personali: religioni, droghe, ideali, sette...»
La figura emerse con lentezza, maestosa. Una cascata di capelli ricci color ebano incorniciava un volto pallido percorso da una fitta rete di scaglie e dagli occhi ciechi. Dalle tempie si allungavano due piccoli corni avorio, mentre una coda serpentina possente e attorcigliata ne sostituiva gli arti inferiori.
«Possiamo controllare le nostre vite molto più di quanto crediamo. E tu... l'hai fatto.»
L'uomo ascoltava, ripresosi dalla sorpresa iniziale di quella apparizione, trattenendo a fatica un riso sconfortato.
«Io... ho già sentito queste parole. David Rea. La mia rivelazione non è altro che la didascalia di una serie televisiva?»
La creatura ignorò la domanda e si chinò accondiscendente.
«Lo pensavi. Ci credevi.»
«Penso sempre troppo a tutto. Per questo sono morto.»
«Ti sei ucciso.»
«Dimmi qualcosa che non so.»
«Non posso.»
L'uomo provò un sussulto di desolazione, il senso di calma artificiosa svanì spazzato via da un'onda di terrificante consapevolezza.
«Non è reale. Tutto... questo, intendo.» Non riuscì a definire la laguna spenta intorno a loro, quasi che d'improvviso potesse sparire, lasciandolo ancor più solo e nudo, senza nemmeno una pace drogata a deviarne i timori.
«Nella misura in cui lo credi.» Rispose la dama serpentina, mentre alle sue spalle un corridoio nero bucava la nebbia in un vortice.
L'uomo si avvicinò all'ingresso di quel cammino oscuro, nel buio alcune piccole ombre si acquattavano per celarsi al suo sguardo.
«Tafuri» spiegò la donna «spiriti cannibali dei mai nati.»
«Ricordo di averli sognati. Quand'ero vivo.» Un tremito, aveva quasi dimenticato la stretta gelida della paura nel petto.
«Di fatto sono rappresentazioni dei tuoi rimorsi.»
«Perché dovrei affrontarli?»
Un repentino attorcigliarsi di spire accompagnò la risposta:
«Non devi. Puoi restare, ma da qui non vedrai mai il mare.»
«Cos'è qui?»
L'apparizione valutò l'interrogativo con un'espressione malinconica, come se quelle parole avessero aperto un cassetto di vecchie lettere cancellate dalle lacrime e mai dimenticate.
«Si dice che quando si muore la vita passa tutta davanti agli occhi in un secondo. In realtà è un cammino tra i sentieri della memoria. Questa è la sala d'attesa prima del viaggio.»
Un sospiro, lungo, trattenuto. Le bestie di tenebra nel cunicolo si agitavano impazienti.
«Non è un gran affare. Mi sono interrotto al primo tempo, perché riguardare la stessa, brutta pellicola se so come va a finire?»
«Perché questa volta sei tu a scegliere il percorso. Se non ti lascerai divorare dai Tafuri, potrai indugiare in ogni momento per quanto lo desideri, un battito di palpebre o una frazione d'eternità, fino a consumarlo, ma non potrai tornare indietro.»
E l'uomo varcò la soglia, a riveder le stelle. Lei. E il mare.

[Grazie a Silvia]


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