DISTINTI SALUTI

II.IV

La storia della Guardiana del limbo, aveva toccato l'anima delle creature più nere. Persino le murene si attorcigliavano inquiete. Il passaggio della baleniera poche ore prima aveva contaminato di oscure visioni lo spirito di quella giornata e Thelgo, sirena dal temperamento oscuro, chiuse le narrazioni di quella mattina nel modo più degno:

«Vide 'o mare quant'è bello!
Spira tantu sentimento.
Comme tu a chi tiene mente
Ca scetato 'o faje sunnà.
Guarda, guà chistu ciardino;
Siente, siè sti sciure arance.
Nu prufumo accussì fino
Dinto 'o core se ne va...
E tu dice “I'parto, addio!”»

La voce rotta da roca malinconia rimbalzava molle sulle pietre dei dock, accompagnata dallo squittio ritmico dei ratti, affaccendati nella ricerca degli avanzi tra le barbe dei marinai ubriachi, che giacevano riversi sulle pozzanghere salmastre nel retro dei pub, morti o storditi dal gin, o entrambi.
La femmina di Sorrento cantava il suo amore latino da pochi scellini all'ombra severa della cattedrale di Southwark, tra teste di pesce e corde catramate, nascosta negli angoli bui della Londra bastarda, soffocata dal carbone e dal fetore dei suoi orfani.
Sotto il ponte dei Frati Neri, una volta a settimana, lasciava sordo il porto delle sue note allegre e offriva la gola al furioso sollievo degli operai. I meno accorti si avventuravano tra le cosce, soffice alcova di sifilide, per un rapido e imbarazzato amplesso fedifrago. Non era per il guadagno che la prostituta s'avventurava fuori zona, lì dove le prime dame orientali dalla bellezza diafana e delicata venivano consumate da mani gonfie di calli taglienti. Sottrarre il pane a quelle sventurate, già vecchie prima di aver conosciuto l'adolescenza, era promessa di sfregio.
No, lei mungeva gli uomini di Blackfriars per un passaggio in chiatta, destinazione il Globe, teatro di sogni di una notte di mezz'estate, re disgraziati, amori spezzati e creature fantastiche di ogni specie.
La femmina di Sorrento aveva quell'unico sollievo a una vita dal sapore di colla di pesce. S'immaginava sul palco di tronchi e paglia, tra le scenografie di tela, a vestire i panni della fiorentina Giulietta, perché nessun attore efebico avrebbe mai potuto rendere il tormento erotico di un'adolescente sbocciata donna, dal sesso infiammato solo al pensiero del respiro del suo uomo.
Non smise mai di sognare, quella dama partenopea, spersa tra i liquami del regno industriale. Nemmeno quando il pugnale la trafisse la prima volta, nella sua ultima notte di luna nuova. La sua mente trasfigurò un oscuro vicolo urbano nella cripta dei Capuleti. Lei, tra le candele grondanti olio di balena, abbracciata all'ombra del suo Romeo con la lama del sacrificio amoroso nel costato.
Sul suo corpo smembrato, il mattino seguente, una lettera lercia di sangue e sporcizia, destinata a Scotland Yard e firmata: “Distinti saluti, Jack lo Squartatore”.

[Grazie a Chiara]


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