LA TORRE DELLE VERGINI


I.II

Dopo che Syrizo ebbe finito di incantare l'uditorio con la sua ode d'apertura, Thelgo reclamò la frase per il proprio racconto. Come voleva la tradizione, una sirena per poter narrare le proprie memorie durante il decamerone, doveva lasciarsi suggerire una frase da colei che l'aveva preceduta. 
E da quelle parole, Thelgo dai capelli color del buio cominciò a tessere la sua trama...


In un tempo perduto, su un'isola di corallo al largo del golfo di Aden, si ergeva una torre di marmo nero alta abbastanza da carezzare la luna nelle notti di alta marea, quando la dama bianca si avvicinava alle acque dense per ammirare il proprio ritratto dipinto dalle onde.

Nell'edificio, scolpito nella pietra nuda, quarantasette vergini lisciavano di lacrime le buie pareti, per tutta la vita, urlando il loro nome agli scogli, per chetare la bestia degli abissi. L'oscura figura dai mille tentacoli di tenebra si nutriva così della loro anima, e teneva al riparo le imbarcazioni dalle sue dieci bocche irte di zanne di giaguaro.

Gli anziani dei villaggi costieri non avevano memoria dell'origine di quella sciagura, alcuni giuravano fosse iniziata ancor prima della fondazione di Aden, dopo che fu scavata la tomba di Abele. Ma a rinvigorire la stretta dell'orrore, ogni volta che una prigioniera periva, impiccatasi con i propri stessi capelli o con lo spirito svuotato a furia di gridare al nulla la propria identità, il mostro emergeva dal buio per ghermire i pescherecci, divorandone carico e marinai.

Solo il canto di dolore di tutte e quarantasette le dame della torre teneva i pescatori al riparo dalla minaccia e generazioni di fanciulle s'erano succedute nelle stanze della prigione, affacciate sull'abisso a sussurrare in coro una litania di strazio e solitudine.

Un giorno, dopo che una delle femmine carcerate aveva scavato i propri polsi con le unghie alla ricerca di una pace disperata, venne introdotta alla torre un'adolescente cieca, dai capelli candidi dello stesso colore della pelle, di un bianco così trasparente da concedere la mappa delle vene alla vista attenta di un estraneo.

La giovane, durante la prima notte tra le pareti vuote, sussurrò parole ignote al vento. Ogni sillaba aveva un suono così leggero da svanire appena scivolata via dalle labbra, rubata dall'aria, gelosa di tanta purezza.

Eppure quel canto antico giunse al suo destino. E il mostro rispose dalla sua grotta tra le alghe.
«Chi sei?» Domandò la bestia con le sue dieci voci.
«Una delle dame imprigionate per placare la tua furia.» Rispose la fanciulla.
«Qual è il tuo nome?» Chiese allora la creatura, incuriosita.
«Non ho nome, sono cresciuta sola, orfana in un villaggio di muti.»
Il mostro, stupito da quell'anima nuda, cominciò a farle altre domande, per capire come poterne divorare l'essenza.
«Mi piace l'odore del mare.» Fu l'unica rivelazione che la ragazza concesse, poi tacque.

E le acque si spaccarono, spezzate dalla forza dei possenti tentacoli forgiati nella stessa materia della notte, e lasciarono emergere la mastodontica e terrificante figura, con le sue dieci bocche spalancate e schiumanti di rabbia.
Il mostro scalò la torre, raggiungendone feroce la cima, dove si trovava la stanza della bambina cieca e senza nome. Il suo odore metifico impregnò la roccia fino a corromperla. Il suo tocco viscido scavò nuove venature nel marmo, indebolendo quella struttura antica come il mondo sino a sgretolarla.

«Raccontami di te.» Ordinò il signore oscuro.
E la giovane obbedì, ma lentamente, in un'irresistibile litania di memorie cesellate di dettagli minuziosi come antiche camelie. Le ore passarono e il filo della sua anima si consumò, ma la voracità della bestia non cedette al ricordo dell'aurora. E l'alba lo colse ancora intento a gustare il suo banchetto, distratto da tanta abbondanza. Il suo corpo svanì in polvere. Nella stanza, una donna senza ricordi sorrideva. L'alba aveva premiato il suo martirio con un nome. Ma lei non l'avrebbe mai rivelato.

[grazie a Laura]


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